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I rischi del commercio on line da privato: abitualità e presunzione di soggettività IVA

11 Maggio 2021 in Speciali

Sono molto lontani i tempi in cui i siti di aste on line permettevano il commercio elettronico, presumibilmente tra privati, di oggetti di vario genere e natura, saldamente fuori dai confini delle verifiche fiscali.

Il perno della questione sta proprio nell’espressione presumibilmente tra privati. Con il passare del tempo, con lo sviluppo del commercio elettronico, questa tipologia di siti internet sono evoluti nei marketplace che oggi tutti conosciamo (quello che più di tutti ha incarnato questa trasformazione da sito di aste a marketplace è stato Ebay), e i venditori, che prima solitamente erano privati, sono divenuti solitamente professionali.

In conseguenza di ciò, le vendite che avvengono attraverso queste tipologie di siti web hanno attirato l’interesse del legislatore, della prassi e della giurisprudenza, quali angoli bui in cui si potevano nascondere delle sacche d’evasione; tanto che, oggi, anche il privato che vorrà utilizzare questo strumento dovrà farlo con soppesata cautela.

L’abitualità

Quando un contribuente vende un oggetto sta ponendo in essere una operazione che rientra nel perimetro del commercio. Questa vendita, solo se occasionale, potrà essere effettuata da un privato, e fiscalmente dichiarata tra i redditi diversi. Quando l’una (o più) vendita non soddisfa il requisito dell’occasionalità, il contribuente sarà attratto all’esercizio dell’impresa ed obbligato ad assolvere gli adempimenti IVA.

Il requisito della occasionalità non si risolve nel numero delle vendite né nei loro importi, più o meno elevati che siano, ma deve essere inquadrato nel più complesso e generale comportamento tenuto dal contribuente, che deve essere tale da non poter essere considerato commercio abituale. Queste considerazioni sono generali e valgono sempre, ma entrando nello specifico delle vendite effettuate su internet attraverso i marketplace, il contribuente deve tenere presente che questi siti, attraverso i profili dei venditori, registrano e raccontano il comportamento degli utenti; motivo per cui il contribuente dovrà stare attento al proprio comportamento perché questo potrebbe raccontare qualcosa che diverge dalle intenzioni dell’utente, anche in buona fede.

La sentenza numero 280, del 25 settembre 2020, della CTR del Molise è entrata proprio nel merito di quali fossero le circostanze utili a ricondurre all’abitualità il commercio effettuato, nel caso specifico, tramite Ebay: la mancanza di professionalità e di competenze informatiche sono state considerate non rilevanti per tale qualificazione, per la quale ha invece avuto differente peso la titolarità del profilo, il costante utilizzo dello stesso, l’indicazione, sulle fatture emesse dal sito, del codice fiscale del contribuente.

Le cessioni effettuate in questo contesto, sono state considerate ricavi (redditi di impresa, nello specifico) sottratti a tassazione, a prescindere della mancanza di un profilo organizzativo, che non è determinate per la specifica natura del commercio effettuato.

Il contribuente, non esercente attività d’impresa, che vorrà vendere qualcosa come privato cittadino, su questa tipologia di siti internet, oggi, dovrà premurarsi di accertarsi che le transazioni effettuate non possano configurare l’abitualità e la continuità, oltre che dichiarare fiscalmente i relativi redditi tra i redditi diversi.

La presunzione di soggettività IVA

Ancora più spinosa è la problematica sul tema, sollevata dalla sentenza numero 498 dell’11 febbraio 2021 della CTR Puglia, in base alla quale, in mancanza di prova contraria da parte del contribuente, in una situazione del genere (di un privato a cui viene contestata l’abitualità del commercio elettronico effettuato tramite Ebay), è legittimo l’accertamento induttivo, per omessa contabilizzazione dei ricavi, basato sulle cosiddette presunzioni supersemplici, grazie alle quali l’Agenzia delle Entrate può portare a tassazione tutte le operazioni effettuate dal contribuente, considerandole presuntivamente tutte imponibili IVA, basandosi sul prospetto delle vendite presente sul portale.

L’utilizzo di questa modalità di ricostruzione dell’imponibile e, di conseguenza, delle imposta dovute, che non riconosce costi d’acquisto per i beni venduti, appare molto punitivo per il contribuente, ma giustificato, secondo la CTR Puglia, dalla mancanza di prova contraria da parte del contribuente, elemento che dimostrerebbe un comportamento non collaborativo e non in buona fede.

La particolare gravosità del metodo utilizzato per la ricostruzione del reddito, oltre che l’onere della prova contraria, dovrà fare ulteriormente riflettere il contribuente, privato cittadino, che effettua questo tipo di cessioni, sull’opportunità di essere in grado di dimostrare la liceità e la buona fede del proprio comportamento.

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